Preghiera e opere insieme per inebriare la casa del Signore
Il vescovo di Verona, mons. Domenico Pompili, nei suoi auguri pasquali (foto in basso) per tutte le persone che operano per la Curia di Verona, ha voluto citare anche Caritas diocesana, di cui è presidente: «Il rischio della società e della Chiesa d’oggi è quello di contrapporre l’amore per Gesù con l’amore per i poveri, come se fossero due poli contrapposti. Come se ci fosse una Chiesa del credere e del pregare e dall’altro lato una Chiesa, rappresentata da Caritas, che invece agisce concretamente. In realtà questa scissione non ci deve appartenere, perché quando abbiamo la capacità di onorare il corpo del Signore di Gesù, abbiamo anche la capacità di essere pronti a prestare servizio per i più poveri. Le due cose stanno insieme. Perché è molto frequente il rischio che una prossimità verso i poveri possa trasformarsi in una ideologia: avere la capacità di guardare i poveri senza questa forma di sguardo sulla realtà inspirata dalla fede, è molto difficile. Ma è altrettanto vero quello che sta dall’altra parte: cioè, che non è pensabile una fede che sia solamente una forma di auto perfezionamento personale, di ricerca del benessere spirituale, perché la fede è appunto come profumo di nardo, quell’aroma che si diffonde in tutta la casa. E’ per questo che non può esistere una fede che non sia anche operante, che non sia capace di interagire con la realtà sociale, culturale, politica in cui viviamo. L’augurio pastorale che io vorrei fare a tutti è che siamo capaci di fare l’unità delle scelte. Cioè di essere sempre più consapevoli di essere una Chiesa che sappia muoversi su entrambi i fronti, sapendo fare sintesi tra preghiere e opere concrete».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il direttore di Caritas, don Matteo Malosto, che nella Santa Messa di auguri di Pasqua per volontari e operatori di Caritas diocesana (foto di copertina) ha augurato a tutte e 300 le persone presenti di vedere nel povero gli occhi del Signore: «Se vi dicessi che oggi è l’ultimo giorno della vostra vita, so cosa ognuno farebbe. Farebbe due cose. Sarebbe abbastanza indifferente la cosa concreta che farebbe. Se fosse l’ultimo giorno della nostra vita sarebbero fondamentali le persone con cui passiamo quel giorno. Passeremmo quel giorno con le persone che ci sono care, con le persone con le quali su questa terra c’è stato un rapporto d’amore vero, che abbiamo amato e dalle quali ci siamo sentiti amati. E la seconda cosa che faremmo sarebbe farsi una domanda forte di senso sulla nostra vita, come una domanda su Dio. Vi auguro di non aspettare che sia l’ultimo giorno della vostra vita per vivere queste cose. Perché io sono prete? Perché ci sono tanti volontari generosi in Caritas? Perché tutte le volte che amiamo veramente qualcuno o ci facciamo amare da qualcuno, quello dura per sempre. E tutte le volte che ci facciamo una domanda su Dio e, se lo abbiamo incontrato, tutte le volte che ci ricordiamo quanto bene ci vuole, anche ciò dura per sempre. È questo quello che mi piacerebbe che fosse il nostro obiettivo di Caritas: utilizzare ogni giorno, come fosse l’ultimo della nostra vita, per fare quelle cose che sappiamo essere le più importanti di tutte. Operare in Caritas è una fortuna: perché ogni giorno possiamo incontrare un fratello che ci chiede un aiuto. Ed è in quel fratello che noi possiamo riconoscere il Signore».
